I paradisi fiscali europei

L’elusione fiscale internazionale

Secondo le stime più recenti, almeno il 40% dei profitti esteri delle multinazionali è dichiarato in «paradisi fiscali», cioè in paesi che applicano aliquote tra il 5 e il 10% o, in alcuni casi, pari a zero. Si tratta di almeno 800 miliardi di dollari di reddito sottratti alla tassazione in nazioni che non hanno regimi fiscali aggressivi, come Francia, Italia, Germania o Stati Uniti[1]. I profitti delle multinazionali non si dirigono solo verso paradisi offshore come le Isole Cayman, le Bermuda o le Seychelles. Nei complessi schemi dell’elusione fiscale internazionale hanno un importante ruolo anche alcuni Stati membri dell’Unione Europea: Lussemburgo, Olanda, Belgio e Irlanda, ai quali si aggiungono Malta e Cipro.

Per ridurre il carico fiscale, le multinazionali utilizzano diverse tecniche. Quella più semplice consiste nella creazione di una società controllata con sede in un paradiso fiscale, in cui spostare gli utili conseguiti dalle altre società del gruppo. Un’altra tecnica è quella del transfer pricing, che consiste nell’effettuare transazioni (prestiti, cessioni di marchi e brevetti o servizi) tra società che fanno capo a una controllante che ha sede in un paradiso fiscale. In alcuni casi, le multinazionali possono beneficiare di accordi fiscali (tax ruling) con le autorità nazionali, come quelli al centro dello scandalo LuxLeaks, scoppiato nel 2014.

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